Cancun, COP16: gli interessi economici vincono sulla pelle dei più deboli

15 dicembre 2010 - Scritto da  
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La Conferenza ONU sui cambiamenti climatici a Cancún si è conclusa all’alba di Sabato 11 dicembre, dopo che 193 paesi hanno firmato un accordo estremamente modesto per combattere il cambiamento climatico e soprattutto non vincolante.

L’accordo, noto come Accordo di Cancún, impegna tutte le principali economie a ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra, ma non stabilisce in che modo le emissioni globali dovrebbero essere tagliate.

Tra le novità del testo c’è il Fondo Verde (Green Fund) di 100 miliardi di dollari entro il 2020, nonostante i Paesi in Via di Sviluppo avessero chiesto già un anno fa almeno 500 miliardi di dollari per fronteggiare l’adattamento al cambiamento climatico.

Inoltre si parla di risorse “mobilizzate” e non stanziate quindi senza nessuna chiarezza sulle fonti e con una gestione evidente di tali risorse da parte della Banca Mondiale, la quale in questi anni ha sostenuto progetti per i Paesi in Via di Sviluppo a dir poco discutibili riguardo all’impatto ambientale che hanno provocato.

La Bolivia, per questi motivi oltre che per non aver riconosciuto i diritti dei popoli indigeni, per aver contenuto l’innalzamento della temperatura ai 2°C e non 1,5°C come sostenuto dai più disparati enti di ricerca, e per non aver prolungato il Protocollo di Kyoto oltre il 2012, non ha sostenuto l’accordo.

Il tentativo di dichiarare come consensuale l’Accordo che non ha il consenso della Bolivia è un precedente molto preoccupante, visto che le regole devono essere uguali per tutti (vedi gli Stati Uniti su Kyoto) tanto più in un processo multilaterale.

Dall’altra parte troviamo le comunità di 30 Paesi del Mondo de La Via Campesina che subiscono ogni giorno le conseguenze di una crisi ambientale e sociale; comunità che si sono riunite nel “Foro global por la vida, la justicia ambiental y social” per sette giorni di incontri e dibattiti dove si è parlato di migrazioni ambientali, difesa dei beni comuni, urbanizzazione selvaggia, impatto delle dighe, diritti della natura e sono state così smascherate quelle che loro stessi definiscono “le false soluzioni” trovate al tavolo del Moon Palace, sede ufficiale della conferenza Onu.

Ancora una volta nel dialogo fra Governi al centro della discussione c’è stata la questione economica e non si è minimamente messo in discussione il Sistema che ha creato questa Crisi; nei documenti si continua a puntare sull’urgenza del trasferimento tecnologico, ribadendo il ruolo centrale del settore privato e dei meccanismi finanziari oltre che della Banca Mondiale.

“Soluzioni” palliative che non risolvono le cause principali, perchè non affrontano i temi sociali che si riflettono direttamente sulle popolazioni costrette alle migrazioni per sopravvivenza.

La crisi ecologica non è fatta solo di cambiamenti climatici. È anche disastri ambientali, nuovi e massicci flussi migratori, distruzione di economie locali, violazione del diritto al cibo e alla salute e la distruzione di milioni di vite umane. Di fronte a questa consapevolezza nessun adattamento è possibile.

Parlare di giustizia climatica significa oggi in realtà parlare di relazioni di potere, di sistemi economici, processi produttivi e modelli di consumo. Per questo siamo più che mai convinti che per affrontare il maniera concreta la crisi sistemica (economica, ecologica, finanziaria, energetica, alimentare e migratoria) occorra rimettere al centro la giustizia sociale ed ambientale.

È questa la scommessa concreta ed urgente che i movimenti e la società civile di tutto il mondo hanno iniziato ad assumere per unire sempre di più le lotte e le alternative in marcia dal nord ad sud del mondo, dalle fabbriche alle campagne, dalle città ai territori con un unico obiettivo comune: cambiare il sistema, non il clima.RIGAS – rete italiana per la giustizia ambientale e sociale

Scaricate: La Via Campesina, Documento finale - odt (odt - 27.23 kB) e Wikileaks e gli Usa, il Clima - odt (odt - 26.62 kB)

Immagini e filmati scattate e girati da Veruscka Fedi, al COP16 a Cancun.

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La Conferenza ONU sui cambiamenti climatici a Cancún si è conclusa all’alba di Sabato 11 dicembre, dopo che 193 paesi hanno firmato un accordo estremamente modesto per combattere il cambiamento climatico e soprattutto non vincolante.

L’accordo, noto come Accordo di Cancún, impegna tutte le principali economie a ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra, ma non stabilisce in che modo le emissioni globali dovrebbero essere tagliate.

Tra le novità del testo c’è il Fondo Verde (Green Fund) di 100 miliardi di dollari entro il 2020, nonostante i Paesi in Via di Sviluppo avessero chiesto già un anno fa almeno 500 miliardi di dollari per fronteggiare l’adattamento al cambiamento climatico.

Inoltre si parla di risorse “mobilizzate” e non stanziate quindi senza nessuna chiarezza sulle fonti e con una gestione evidente di tali risorse da parte della Banca Mondiale, la quale in questi anni ha sostenuto progetti per i Paesi in Via di Sviluppo a dir poco discutibili riguardo all’impatto ambientale che hanno provocato.

La Bolivia, per questi motivi oltre che per non aver riconosciuto i diritti dei popoli indigeni, per aver contenuto l’innalzamento della temperatura ai 2°C e non 1,5°C come sostenuto dai più disparati enti di ricerca, e per non aver prolungato il Protocollo di Kyoto oltre il 2012, non ha sostenuto l’accordo.

Il tentativo di dichiarare come consensuale l’Accordo che non ha il consenso della Bolivia è un precedente molto preoccupante, visto che le regole devono essere uguali per tutti (vedi gli Stati Uniti su Kyoto) tanto più in un processo multilaterale.

Dall’altra parte troviamo le comunità di 30 Paesi del Mondo de La Via Campesina che subiscono ogni giorno le conseguenze di una crisi ambientale e sociale; comunità che si sono riunite nel “Foro global por la vida, la justicia ambiental y social” per sette giorni di incontri e dibattiti dove si è parlato di migrazioni ambientali, difesa dei beni comuni, urbanizzazione selvaggia, impatto delle dighe, diritti della natura e sono state così smascherate quelle che loro stessi definiscono “le false soluzioni” trovate al tavolo del Moon Palace, sede ufficiale della conferenza Onu.

Ancora una volta nel dialogo fra Governi al centro della discussione c’è stata la questione economica e non si è minimamente messo in discussione il Sistema che ha creato questa Crisi; nei documenti si continua a puntare sull’urgenza del trasferimento tecnologico, ribadendo il ruolo centrale del settore privato e dei meccanismi finanziari oltre che della Banca Mondiale.

Soluzioni” palliative che non risolvono le cause principali, perchè non affrontano i temi sociali che si riflettono direttamente sulle popolazioni costrette alle migrazioni per sopravvivenza.

La crisi ecologica non è fatta solo di cambiamenti climatici. È anche disastri ambientali, nuovi e massicci flussi migratori, distruzione di economie locali, violazione del diritto al cibo e alla salute e la distruzione di milioni di vite umane. Di fronte a questa consapevolezza nessun adattamento è possibile.

Parlare di giustizia climatica significa oggi in realtà parlare di relazioni di potere, di sistemi economici, processi produttivi e modelli di consumo. Per questo siamo più che mai convinti che per affrontare il maniera concreta la crisi sistemica (economica, ecologica, finanziaria, energetica, alimentare e migratoria ) occorra rimettere al centro la giustizia sociale ed ambientale.

È questa la scommessa concreta ed urgente che i movimenti e la società civile di tutto il mondo hanno iniziato ad assumere per unire sempre di più le lotte e le alternative in marcia dal nord ad sud del mondo, dalle fabbriche alle campagne, dalle città ai territori con un unico obiettivo comune: cambiare il sistema, non il clima.” RIGAS – rete italiana per la giustizia ambientale e sociale

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