Dell’Utri, 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa

30 giugno 2010 - Scritto da  
Archiviato in Dall'Italia, Primo piano

 

Pena ridotta in appello per il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, acusato di concorso esterno in associazione mafiosa. La Corte di Appello di Palermo lo ha condannato a 7 anni, due in meno dei 9 anni avuti in primo grado. I giudici sono rimasti in camera di coniglio per sei giorni. Il procuratore generale Nino Gatto aveva chiesto la condanna a 11 anni, con un aumento di pena di due anni. La Corte ha invece ridotto la pena di due anni, determiando in 7 anni la condanna del senatore.

La Corte ha inoltre dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Gaetano Cina’, esponente mafioso che era l’unico altro imputato del processo e che e’ frattanto deceduto. Dal “decreto salvaladri” al tentativo, poi fallito, di adottare norme che avrebbero potuto favorire i mafiosi. Nella memoria illustrata nel processo d’appello a Palermo, nel suo atto d’accusa a Marcello Dell’Utri, chiamato a rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa, il procuratore generale Antonino Gatto ha ricostruito quello che a suo dire si e’ configurato e “concretizzato come un patto di scambio fra Cosa nostra e Dell’Utri”.

Ha cosi’ ricostruito passo dopo passo l’iter legislativo aperto dal provvedimento con cui il governo presieduto da Silvio Berlusconi, ministro della Giustizia Alfredo Biondi, tento’ di varare nuove regole in tema di indagini sulla pubblica amministrazione, sulla corruzione e sulla custodia cautelare, che avrebbero riguardato pure gli imputati di mafia. Il decreto, presentato a luglio del 1994, non venne convertito in legge entro il settembre successivo e decadde, dopo che era stato investito da una salva di critiche: contro la misura, definita “salvaladri” e approvata alla vigilia della semifinale mondiale Italia-Bulgaria, prese posizione anche il pool di Milano, di cui all’epoca faceva parte anche Antonio Di Pietro. Anche l’allora ministro degli Interni, Roberto Maroni, dichiaro’ la propria contrarieta’, dicendo fra l’altro di aver parlato “con alcuni magistrati in prima linea contro la mafia” e di avere “scoperto che questo decreto e’ diverso da quello che ci era stato prospettato la sera in cui lo abbiamo approvato”. In settembre furono ripresentate piu’ o meno le stesse norme sotto forma di disegno di legge, su iniziativa della commissione Giustizia della Camera, allora presieduta da Tiziana Maiolo.

Secondo la ricostruzione del pg, proprio negli ultimi mesi del 1994, vi fu il tentativo di inserire in questo ddl articoli di legge, in modo da rendere meno agevoli sia gli arresti dei mafiosi che il loro permanere in carcere. Il 22 dicembre del 1994 cadde il governo Berlusconi e nella legge poi approvata l’8 agosto del 1995 sotto il governo Dini (dopo il “ribaltone” che aveva portato al cambiamento di maggioranza in Parlamento) molti dei punti che stavano a cuore ai boss furono cancellati. Il pg ha sostenuto che la vicenda, cosi’ ricostruita, rappresenta un “formidabile riscontro” al racconto del pentito Salvatore Cucuzza, “collaborante quanto mai affidabile”.

Cucuzza ha riferito il racconto di Vittorio Mangano, da lui incontrato proprio alla fine del 1994, e si tratta, ha affermato il rappresentante della Procura generale, di questioni estremamente tecniche, su cui e’ difficile ipotizzare che ci possano essere stati inquinamenti e condizionamenti attraverso la lettura dei giornali da parte del collaboratore di giustizia o da parte della sua fonte, il defunto ex stalliere di Arcore. Mangano e Cucuzza avrebbero parlato pure dell’opposizione dell’esponente della Lega, che il pentito chiama “Moroni” e non Maroni. Si sarebbe cosi’ concretizzato, ha chiosato il pg Gatto, il patto di scambio fra Cosa Nostra e Dell’Utri. Non solo. “Alle trattative del periodo ’93-’94 tra lo Stato e Cosa nostra contribui’ Marcello Dell’Utri, come gia’ risultava prima delle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza”, ha sostenuto Gatto successivamente nella sua requisitoria terminata con la richiesta della condanna a 11 anni di carcere. “A Milano Dell’Utri aveva rapporti con i fratelli boss di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano – ha aggiunto – I Graviano erano interessati al movimento politico ‘Sicilia libera’, poi confluito in Forza Italia. I due fratelli erano latitanti a Milano e avevano saldi rapporti con l’imputato, al punto che gli raccomandarono il calciatore Giuseppe D’Agostino, figlio di un loro uomo, perche’ venisse fatto giocare nel Milan”.

Il Pg si e’ soffermato a lungo sulla “natura politica” dei discorsi fatti da Giuseppe Graviano a Spatuzza al bar Doney di Roma e a Campofelice di Roccella: “In quelle occasioni, col petto gonfio di gioia – ha proseguito il Pg – il boss disse di avere trovato ‘persone serie’ che gli avrebbero consentito di mettersi il Paese nelle mani: Berlusconi e Dell’Utri”. Tra la fine del ’93 e il gennaio ’94, “avrebbero dovuto portare benefici per tutti, compresi i carcerati. Si attendevano – ha aggiunto il pg – provvedimenti e interventi da chi doveva fare le leggi. E questo era lo scopo di Graviano, ma non solo. Secondo quanto ha riferito un altro collaborante, Nino Giuffre’, anche Bernardo Provenzano usci’ allo scoperto in quello stesso periodo e disse: ‘Ci possiamo fidare'”. Partendo da due intercettazioni, una delle quali a casa del capomafia di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, Gatto ha anche detto che tra i boss palermitani c’era l’ordine di votare per Dell’Utri, che avrebbe accettato i voti e in cambio si sarebbe impegnato in favore di Cosa nostra. Tra gli elementi che proverebbero il rapporto di scambio tra l’organizzazione criminale e il partito che Dell’Utri contribui’ a creare, Forza Italia, il pg ha citato il disegno di legge del 1994, che prevedeva modifiche alle misure cautelari in tema di mafia: “I boss e i picciotti – ha detto Gatto – ne avrebbero tratto benefici.

Il provvedimento non venne approvato solo perche’ il governo Berlusconi cadde”. Il ddl divenne poi legge, ma senza la parte con il contenuto ipoteticamente favorevole ai mafiosi. Infine, l’assunzione del mafioso palermitano Vittorio Mangano ad Arcore, nella tenuta di Silvio Berlusconi, che “non fu legata a interessi agricoli, ma alla necessita’, che all’epoca avevano tanti imprenditori, tra i quali c’era lo stesso Berlusconi, di “proteggersi” dal pericolo di sequestri. Gatto, per escludere che Mangano fosse stato assunto per fare da stalliere o da fattore ad Arcore, ha usato le stesse parole dell’imputato. “Nelle dichiarazioni spontanee rese il 29 novembre del 2004 -ha detto il Pg- fu Dell’Utri a dire che in realta’ Mangano si interessava di cani e non di cavalli. Non si vede quale sarebbe stato dunque il suo contributo alla cura di animali che Berlusconi voleva allevare nella sua tenuta appena acquistata”. Gatto si e’ soffermato anche sulla “stranezza” di far venire in Brianza un dipendente palermitano, che di coltivazioni padane sapeva ben poco: “in realta’ -ha chiosato il rappresentante dell’accusa- a giudicare dal suo notevole certificato penale, gli interessi che coltivava erano ben altri rispetto a quelli agricoli”.

Per il pg, insomma, i rapporti con esponenti mafiosi “sono provati” e la vicenda processuale di Dell’Utri ha grandi implicazioni, come ha fatto capire il 24 giugno, poco prima che i giudici entrassero in camera di consiglio: “Non vorrei essere nei vostri panni: dovete prendere una decisione che e’ veramente storica, non solo dal punto di vista della storia giudiziaria, ma che attiene alla storia del nostro Paese. Voi potete contribuire alla costruzione di un gradino, salito il quale forse, e ripeto forse, si potranno percorrere altri scalini che potranno fare accertare le responsabilita’ che hanno insenguinato il nostro Paese. Oppure lo potete distruggere questo gradino. E’ il potere qui, che viene processato, non possiamo sottrarci al giudizio. E’ il potere che ha cercato di sfuggire al processo”. (AGI)

Commenti

Facci sapere che cosa stai pensando, lascia un tuo commento...
e oh, se si desidera una foto per mostrare con il proprio commento, vai ottenere un gravatar!