Rifondazione Comunista ricorda i fatti del 21 luglio 1921 a Sarzana
21 luglio 2020, by admin
Archiviato in Dalla Provincia, Partito, Primo piano
Luglio 1921. Sarzana maggiore città della Val di Magra, era amministrata dal Partito Socialista, con il sindaco Pietro Arnaldo Terzi e con all’interno della giunta anche una presenza di Comunisti, reduci dalla scissione del congresso di Livorno del 22 gennaio. Una città con una forte tradizione a sinistra, grazie alla presenza operaia e contadina della popolazione, che ne diede dimostrazione anche nelle elezioni nazionali del maggio 1921, dove il Partito Socialista ottenne il 47,07% e il Partito Comunista il 13,25%.
Da molti mesi, prima del 21 luglio, Sarzana subì aggressioni di squadracce fasciste. Il primo episodio risale al 29 maggio, quando nella frazione di Falcinello tre giovani intenti a cantare “Bandiera Rossa” furono uccisi da 8 colpi di rivoltella, sparati da tale Giuseppe Frolli. Il 12 luglio, per l’inaugurazione del fascio di Pontremoli, la squadra di Renato Ricci, noto squadrista carrarese, sostò a Sarzana e, dopo uno scontro con la popolazione, uccise un operaio estraneo ai fatti, tale Luigi Gastaldelli, che stava rincasando. In questo contesto, il 13 luglio gli antifascisti di Portovenere accolsero le camicie nere con lanci di vasi di fiori dalle finestre e bastonature; le camicie nere, fuggendo dal centro del paese, uccisero a sangue freddo il giovane operaio Giovanni Mastrilli. L’omicidio del fascista Pietro Procuranti di Tendola, avvenuto il 15 luglio per motivi non riconducibili alla politica, diede agli squadristi della vicina Carrara, capitanati sempre da Renato Ricci, il pretesto per un’altra azione che ebbe luogo 17 luglio, nel paese di Monzone, luogo natio di Procuranti, e dove si doveva tenere il comizio di Del Ranco, esponente comunista. I fascisti assaltarono la cooperativa cittadina e, negli scontri che seguirono, furono uccisi i comunisti Dino Rossi e Primo Garfagnini. Assaltarono anche l’abitato di Santo Stefano di Magra e, nel corso dell’azione, ci furono diversi feriti e due vittime, Luigi Del Vecchio e Edoardo Vannini. Ripartiti e giunti presso Sarzana, in località “tiro a segno”, i fascisti uccisero un passante estraneo ai fatti, Silvio Spadaccini. Dopo questi omicidi e varie provocazioni, la delegazione fascista fu arrestata e tradotta nelle carceri della cittadella.
Questi arresti provocarono una spedizione fascista e squadrista proveniente dalla Toscana, che il prefetto di Massa, a differenza di quello di Parma che fermò il fascista Farinacci e i suoi, non fece nulla per evitare. Lo squadrone, capitanato da Amerigo Dumini, che poi pochi anni dopo ritroveremo nella cronaca nazionale in quanto caposquadra che uccise l’onorevole Matteotti, partì dalla Toscana e si fermò a Carrara da dove proseguì lungo i binari della ferrovia, con l’obbiettivo di arrivare a Sarzana a sorpresa, liberare Renato Ricci e mettere a ferro e fuoco la cittadina rossa che non si era piegata alla propaganda fascista. Tuttavia, inaspettatamente, alla stazione di Sarzana, trovarono ad attenderli i Reali Carabinieri, che, sotto il comando del capitano Guido Jurgens, tentavano di difendere le istituzioni regie. Accanto a loro, vi era un’ampia delegazione dell’organizzazione degli Arditi del Popolo, una milizia costituitasi a Roma nel giugno 1921 da Argo Secondari e formata da arditi, ex reduci e proletari, con sentimenti antifascisti. La rappresentanza sarzanese degli Arditi, comandata da Delfini e Isoppo, si costituì come comitato di difesa popolare composto non solo da sarzanesi ma anche da provenienti dalle zone limitrofe e da contadini e operai, forti dello sciopero proclamato in quei giorni. Nella giornata del 21 Luglio 1921, essi difesero con le armi la città, cacciando da Sarzana la delegazione fascista, che, però, riuscì ad ottenere il rilascio di Ricci e della sua banda. Nessun fascista fu arrestato o disarmato; nel tragitto del ritorno, il treno che li trasportava per ricondurli in Toscana fu preso a fucilate dai contadini presso la stazione di Luni. Vi furono in totale 14 morti e altrettanti feriti e ciò causò molte ritorsioni da parte dei fascisti, che uccisero anche due contadini lunensi nelle giornate successive per vendicare i morti di Sarzana.
Il Presidente del Consiglio, Ivanoe Bonomi, mandò l’Ispettore Trani ad occuparsi della vicenda. L’ispettore era un uomo dello stato, che credeva alla giustizia, e si oppose all’ordine del prefetto di disarmare i contadini, come se appartenessero all’esercito di un Paese straniero, perché riteneva che prima dovessero essere disarmati i fascisti, in quanto aggressori. La situazione politica nazionale, il mancato appoggio dei Socialisti al Governo Bonomi e la pacificazione tra il Fascio Nazionale e il Partito Socialista, ebbero ritorsioni politiche anche a Sarzana. Trani fu richiamato a Roma e, al suo posto, subentrò Rossi, filofascista che fece disarmare e arrestare i contadini, e che, con una dura repressione, colpì in particolare gli Arditi e i Comunisti.
Con molto orgoglio sosteniamo, citando il Presidente Pertini, che: “se tutte le città d’Italia avessero fatto come Sarzana, il fascismo non sarebbe passato”.
22 anni dopo, nel 1943, durante la Resistenza, Sarzana e la vallata del Magra seppero mostrare ancora all’Italia intera il valore antifascista e democratico.
Ora e sempre resistenza!!
Rifondazione Comunista,
federazione provinciale La Spezia
La resistenza nel Brasile di Bolsonaro: martedì 29 gennaio all’Urban Center incontro pubblico organizzato da Rifondazione Comunista
28 gennaio 2019, by admin
Archiviato in Appuntamenti, Partito, Primo piano

“No ai fascisti di oggi e di ieri negli spazi comunali. Biblioteca “Beghi” è sede dell’antifascismo spezzino”
9 febbraio 2016, by admin
Archiviato in Dalla Provincia, Partito, Primo piano
Prendiamo atto con soddisfazione della decisione della giunta comunale spezzina di non autorizzare lo svolgimento dell’iniziativa “culturale” dei neofascisti di Casapound (tramite il fondamentale aiuto della Lega Nord) in uno spazio pubblico comunale, e oltretutto nella biblioteca “Pietro Beghi”, sede dell’Istituto storico della Resistenza che porta il nome del segretario del CLN spezzino.
Lombardi (Rete a Sinistra): “Parole di giustizia o ipocrisia? Spezia sta ancora pagando le sue ingiustizie”
25 maggio 2015, by admin
Archiviato in Campagna elettorale, Primo piano, Società
Si è chiusa a Spezia la rassegna “Parole di giustizia”.
Un evento culturale molto importante per la nostra città: per tre giorni si è discusso di democrazia, scuola e politica al massimo livello, con alcuni tra i più importanti intellettuali del nostro paese.
Infatti, cosa c’è di giusto nella “Democrazia Renziana” di questi tempi?
Di quale giustizia stiamo parlando? Questa, per chi non se la ricorda, è la breve storia d’Italia dell’ultimo anno e mezzo.
E dato che l’amministrazione comunale spezzina e quella regionale si sperticano negli elogi al presidente del consiglio, nel tentativo affannoso di mettersi in luce presso il principe, mi sembra di poter affermare che si sia trattato di uno show vuoto e vano, da intitolare con “Parole di ipocrisia”, o meglio, “Parole di ingiustia”.
Quell’ingiustizia che Spezia ha da sempre sofferto sulla propria pelle: l’ingiustizia degli scandali ambientali, da Pitelli all’amianto, dall’aria avvelenata dall’Enel al nostro meraviglioso “golfo dei veleni”, fino ad arrivare all’ingiustizia dell’occupazione delle aree militari, che da oltre un secolo privano quasi interamente i cittadini del nostro bene più prezioso, il mare.
E infine, a proposito di questioni militari, voglio aggiungere una piccola riflessione nell’importante ricorrenza a cent’anni dall’ingresso italiano nella Grande guerra.
Anche allora fu un atto di scandalosa ingiustizia, in primis contro la stessa democrazia: fu un blitz del governo, appoggiato dalla casa reale, a scavalcare indegnamente il parlamento e l’intero popolo italiano, contrario in stragrande maggioranza al conflitto.
“Addio alla partigiana Vanda Bianchi, vero simbolo della Resistenza”
31 luglio 2014, by admin
Archiviato in Dalla Provincia, Partito, Primo piano
La federazione provinciale spezzina di Rifondazione Comunista esprime forte dolore e cordoglio per la scomparsa, avvenuta nella notte, della compagna partigiana Vanda Bianchi “Sonia”.

Allende vive! Contro vecchi e nuovi fascismi, Rifondazione ricorda El Presidente
11 settembre 2013, by admin
Archiviato in Dalla Provincia, Partito, Primo piano, Società
Questa mattina una delegazione della federazione provinciale spezzina di Rifondazione Comunista ha reso omaggio alla figura del grande presidente cileno Salvador Allende, morto eroicamente quarant’anni fa mentre difendeva il palazzo presidenziale della Moneda dagli assalti fascisti e golpisti dell’esercito del criminale Pinochet, teleguidato dalla CIA statunitense.
Un attentato alla democrazia e alla speranza di un popolo, quello cileno, che ha sofferto e continua a soffrire per una ferita difficilmente rimarginabile, che ha causato migliaia di morti, feriti, incarcerati, scomparsi.
Oggi, con i venti di guerra e distruzione di nuovo alle porte nel mondo, Rifondazione ha voluto ricordare quella immensa tragedia, nella speranza che vengano impedite e fermate nuove carneficine su popoli innocenti e inermi.
“Lavoratori della mia patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro, in cui il tradimento ha la pretesa di imporsi. Continuate a esser certi che, più presto che tardi, riapriranno le grandi strade per le quali passerà l’uomo libero, per costruiire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà intuile”.
Salvador Allende, 11 settembre 1973
Rifondazione Comunista, federazione provinciale La Spezia
25 luglio 1943-2013: “Ieri la dittatura fascista, oggi quella neoliberista”
25 luglio 2013, by admin
Archiviato in Dall'Italia, Primo piano, Società
Il 25 luglio 1943 fa cadeva il regime fascista.
Per chiudere la partita con il nazifascismo e conquistare la pace furono necessari altri due anni di battaglie che videro nella lotta partigiana la ricostruzione della dignità del popolo italiano.
A distanza di settant’anni non si può non vedere come oggi l’attacco alla Democrazia e alle Costituzione nata dalla Resistenza avvenga attraverso l’applicazione dell’ideologia neoliberista che ha dato luogo ad una vera e propria dittatura economica.
In questa assolutizzazione del neoliberismo al di sopra di ogni istanza di giustizia e libertà abbiamo il nuovo fascismo impolitico e tecnocratico dei nostri giorni.
Paolo Ferrero
Segretario nazionale Rifondazione Comunista
Ferrero a Berlusconi: “Quelli che hanno dato fuoco alla casa nel ’44 parlavano piemontese”
28 gennaio 2013, by admin
Archiviato in Dall'Italia, Partito, Primo piano
«Berlusconi cerca di raggranellare qualche voto proponendo la solita tesi autoassolutoria: “italiani brava gente”. In questo modo si coltiva l’idea di un popolo di irresponsabili che non ha mai nulla di cui pentirsi perché in fondo non ha mai fatto nulla di male. In questa lettura anche Mussolini diventa un signore che ha fatto l’unico sbaglio di farsi tirare per la giacchetta da Hitler ma per il resto era una “brava persona”. Questo modo di pensare è all’origine dei molti guai del paese, considera l’antifascismo e quindi la Costituzione italiana un inutile orpello ma soprattutto è falso. Sin da bambino mia madre mi ha raccontato l’episodio di quando, adolescente, venne bruciata la casa in cui viveva durante i rastrellamenti del 1944. La cosa che mi ha sempre detto mia madre è che “quelli che hanno dato fuoco alla casa parlavano piemontese”. Non erano cioè soldati tedeschi ma fascisti repubblichini italiani. Anche questo fa parte della Giornata della Memoria».
Paolo Ferrero
Segretario nazionale Rifondazione Comunista
Giovani Comunisti La Spezia sul 10 febbraio: “La nostra memoria ricorda tutto”
11 febbraio 2012, by admin
Archiviato in Dall'Italia, Partito, Primo piano
La legge 30 marzo 2004, n. 92 ha istituito il 10 Febbraio come giorno del ricordo in memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
Ma cosa ricordiamo?
Dovremmo ricordare solo ciò che la memoria ufficiale e istituzionalizzata ci racconta: migliaia di cadaveri rinvenuti nelle foibe istriane, corpi di persone massacrate e poi gettate in queste profonde cavità naturali per mano dei partigiani jugoslavi comunisti di Tito oppure costrette per sopravvivere all’esodo per il solo fatto di essere italiane o contrarie al regime comunista.
Ma la nostra memoria ricorda tutto.
• Ricordiamo che il 10 febbraio del 1947 furono firmati i trattati di Parigi. L’Italia dovette cedere diversi territori a Francia e Jugoslavia (Fiume, Zara, Lagosta, Pelagosa, gran parte dell’Istria, del Carso triestino e dell’alta valle dell’Isonzo).
L’arco storico istituzionale ha fatto sì che la celebrazione dell’esodo dalmata/istriano ed il fenomeno foibe, fossero ricordati solamente a pochi giorni dalle celebrazioni in memoria della Shoah (27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa). La scelta politica del datare in maniera affine le due giornate pare chiara e si insinua in quel dibattito sconcio (in cui si inserirono, ahi noi, anche alcune forze di sinistra) che parla di pacificazione tra i fiancheggiatori dell’occupante germanico e i combattenti per la libertà del nostro giovin paese.
Ricordiamo la verità sul presunto fenomeno foibe.
• Gli “infoibati” furono quasi tutti individui compromessi con il fascismo, per quanto riguarda le foibe istriane del ‘43, e con l’occupatore tedesco per quanto riguarda il ‘45.
• Ci sono testimonianze autorevoli (per esempio dell’ispettore di polizia De Giorgi, colui che nel dopoguerra fu incaricato dei recuperi dalle foibe) che dicono che furono proprio uomini dell’Ispettorato Speciale di Polizia per la Venezia Giulia, istituito per la repressione della resistenza partigiana, in particolare quelli della squadra politica, la cosiddetta banda Collotti, a gettare negli “anfratti del Carso” degli arrestati che morivano sotto tortura.
• Molti dei cosiddetti infoibati furono vittime di rese dei conti, per le quali ci furono nei mesi successivi dei processi e delle condanne che accertarono che si era trattato in genere di vendette personali che non possono essere attribuite al movimento di liberazione.
• Ricordiamone i numeri: in Istria nel ‘43 le persone uccise nel corso della insurrezione successiva al 8 settembre furono fra le 250 e le 500, la gran parte uccise al momento della rioccupazione del territorio da parte dei nazifascisti; nel ‘45 le persone scomparse sono meno di cinquecento a Trieste e meno di mille a Gorizia, alcuni fucilati ma la gran parte morti di malattia in campo di concentramento in Jugoslavia.
C’è quindi una grande differenza tra chi è morto per infoibamento e chi è stato trovato all’interno delle fessure carsiche. Non vi è prova alcuna che tutti i corpi rinvenuti nelle ispezioni successive al ‘45 all’interno delle foibe (di cui spesso si parla a sproposito censendo anche i corpi ritrovati in fosse comuni) fossero lì per un chiaro disegno eversivo.
Non si può nemmeno parlare di una pulizia etnica, non ci fu violenza mirata o decisa a tavolino dai partigiani di Tito diretta ad annientare i civili italiani per il solo fatto di appartenere a tale nazionalità o per il loro essere anticomunisti.
Ricordiamo i crimini di guerra fascisti rimasti impuniti.
Queste le parole di Benito Mussolini:¨Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani¨.
• Le centinaia di migliaia di vittime libiche durante la deportazione delle popolazioni cirenaiche, le armi chimiche e i gas letali utilizzati per massacrare la popolazione etiope, i campi di prigionia e di concentramento sparsi in tutta Italia, le deportazioni di Ebrei, Rom, Slavi, oppositori politici, la risiera di San Sabba, campo di sterminio con forno crematorio in cui morirono oltre 3000 persone, soprattutto partigiani italiani, sloveni e croati.
Denunciamo il revisionismo in atto, la campagna di disinformazione generalizzata portata avanti dai nostri rappresentanti politici, fieri portatori di una memoria storica falsata, in particolare dalla destra e dalla sua ala estrema che tenta di confondere vittime e carnefici, generare falsi miti e luoghi di culto come la foiba di Basovizza (in realtà pozzo di ispezione per la cava di carbone, quindi non una foiba vera e propria. Svuotata negli anni cinquanta dagli alleati per via del materiale di guerra – anche documenti importanti – gettato a mo di discarica dentro di essa) dove neonazisti e neofascisti da tutta Europa a suon di saluti romani si radunano per onorare i martiri caduti per difendere l’italianità di queste terre dalla barbarie slavo-comunista.
Ci opponiamo ai tentativi di riscrivere la storia, di riabilitare i nazifascisti e nascondere i crimini di guerra italiani, sulla scorta di una lettura propagandistica dei fatti che nasconde la verità e criminalizza la Resistenza antifascista e la lotta di liberazione partigiana.
Giovani Comunisti La Spezia
La morte di Giorgio Bocca: addio a un partigiano giornalista
27 dicembre 2011, by admin
Archiviato in Dall'Italia, Primo piano
Di Stefano Galieni, www.controlacrisi.org
Giorgio Bocca se ne è andato, a 91 anni dopo averne viste e fatte tante. Ci mancherà anche se non era comunista, anche se per qualcuno, forse troppo miope, era anti comunista e sbagliava. Basta leggere con cura le invettive scritte negli ultimi anni sul Venerdì di Repubblica, basta leggere la sua indignazione verso una forbice che si allargava fra chi più aveva e chi più era escluso. Bocca era stato partigiano, comandante partigiano, e conservava ancora quel lucido schierarsi quel decidere da che parte stare. Coglieva il fascismo della seconda repubblica, non il ciarpame berlusconiano ma i dettagli di una logica neoautoritaria in cui il lavoro non conta più in cui la speculazione e la finanza muovono e decidono su tutto, in cui la politica rinuncia al suo ruolo.
Avesse avuto 30 anni di meno lo avremmo forse visto in piazza e non certo dalla parte di Marchionne, con gli studenti e non con la Gelmini, con i precari e non con i retaggi del programma di Sacconi. Bocca restava soprattutto antifascista, nel sangue e nell’occhio con cui guardava il mondo, il Paese e le sue miserie, disprezzava tanto i governanti quanto la finta opposizione, parlava, lui ultranovantenne, dell’importanza di salvare la terra come bene comune.
Scriveva su Repubblica solo grazie al fatto che di quel giornale aveva fatto la fortuna, avesse avuto meno prestigio, lo avrebbero già sbattuto fuori, troppo fuori dal coro, così poco adatto ai miasmi veltroniani. Il suo giornalismo era partigiano, antifascista e laico e poco si sposa con la palude quotidiana. Non piaceva a tanti Bocca, gli stessi che oggi lo rimpiangono con lacrime false e fastidiosi omaggi, di quelli che avrebbe scacciato con un calcio, da montanaro rude e diretto, privo di doroteismo. Alcune sue idee erano frutto di pregiudizi assurdi, sul Sud, sui giovani, ma nel piatto della bilancia pesa anche il fatto di aver voluto, forse per primo, considerare la lotta armata non con le solite frasi sbrigative ( problema di ordine pubblico) ma come segno di una profonda inquietudine sociale che nasceva in fabbrica e entrava nelle mutazioni delle città, delle metropoli, forse perché invece di limitarsi a osservare, lui con i militanti delle BR ci parlava. Un giornalista che ci mancherà, un partigiano in meno in un Paese che ha bisogno ancora e molto di partigiani
Di seguito uno degli ultimi articoli di Giorgio Bocca uscito su L’Espresso il 28 novembre scorso riguardo al dissesto idrogeologico del nostro Paese:
I dissesti? Tutta colpa nostra
di Giorgio Bocca
I disastri causati dalle alluvioni sono colpa degli uomini, non dei mutamenti climatici. Perché prima si costruisce senza criterio e poi non si ha la capacità di affrontare le emergenze
(28 novembre 2011)
Qual è stata nella recente alluvione di Genova la responsabilità maggiore dei danni? I comportamenti abituali degli uomini in tema di alluvioni. Prima le prepariamo costruendo nelle zone in cui dovrebbero esondare le acque di piena, poi aggraviamo il disastro continuando a vivere nel corso delle alluvioni come se non ci fossero: bambini a scuola, automobili nelle strade, cittadini lenti a rifugiarsi anche sulle alture. Sicché vista dall’alto, vista da un terrazzo, la piena di un fiume appare come una corsa pazza di persone che non sanno cosa fare, dove andare, come ripararsi.
Ho conosciuto il comportamento dei miei simili anni fa durante l’inondazione del Polesine. Il Po era in piena da almeno una settimana, ma nel Polesine nessuno se ne curava. Solo la guardia municipale di un paese vicino a Ferrara, Occhiobello, si decise a sfidare quanti non volevano spaventare la gente di Occhiobello dando l’allarme suonando le campane, e il Po stava già precipitando nella breccia da cui stava invadendo le zone di Adria e Rovigo. Fu la mia scuola di alluvione.
Strana scuola, alle prime ore del mattino partivamo in auto da Ferrara, raggiungevamo il grande lago formatosi con la piena, salivamo sugli anfibi dei vigili o dei soldati arrivati in soccorso da tutta Italia e giravamo per quel mare immobile e azzurro in cui si specchiavano le nevi delle Alpi. Gli abitati apparivano con i loro campanili sorgenti dalle acque, si vedeva la gente che si era rifugiata sui tetti, alcuni erano rimasti impigliati come uccelli fra i rami di un albero. Un giorno arrivammo a Adria, la gente alle finestre applaudiva, la strada principale era diventata una specie di Canal Grande, a un balcone le signorine del bordello salutavano festose come educande.
Chi è scampato a un’alluvione sa bene quali sono le colpe e gli errori fatti dagli uomini. Anni fa feci un viaggio lungo il Po dalla sorgente alla foce. Era chiaro che almeno la metà delle case da Revello in poi sarebbero state allagate. Il disastro predisposto dagli uomini continuava per tutto il corso del fiume: scomparsi i canali di scolo dei boschi, asfaltate tutte le strade, un mantello di cemento attorno alle città, nessun taglio degli alberi cresciuti lungo le rive, una proliferazione di pioppi che non potevano trattenere le acque. E sì che gli spazi nella pianura del Po ci sembravano enormi, in Liguria in quegli stretti spazi strappati alla montagna la morte come dei topi in un secchio era sicura.
Un altro fatto importante nelle alluvioni dipende dalla “civiltà idrica” degli uomini: ci sono regioni in cui sono avvenute alluvioni disastrose, come il Friuli e il Biellese, in cui spontaneamente, per tradizioni storiche, gli abitanti del posto hanno immediatamente iniziato la ricostruzione e nel giro di poche settimane hanno rimesso le strutture del paese in condizioni di funzionare. A seguito di altre catastrofi nei paesi arretrati del Sud, come in Irpinia o nel Belice, le conseguenze e i danni si sono protratti per anni. In alcune zone d’Italia progredite gli uomini e le loro organizzazioni reagiscono immediatamente, mentre in altre comincia la lagna dei soccorsi dello Stato che non arrivano.
Il dramma di questo Paese è di avere queste contraddizioni che non possono essere guarite dall’intervento del governo, ma sono connaturate alla storia delle popolazioni.