“Oggi a Genova nel ricordo di Carlo e del grande movimento del 2001. Il Coisp pensi alla “legalità” delle tanti morti di stato”

20 luglio 2015, by  
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Oggi è il 20 luglio e, come ogni anno, siamo a Genova a ricordare Carlo Giuliani, ucciso quattordici anni fa nella guerriglia urbana che fece da sfondo al G8 più tragico, quello che portò mezzo milione di persone in piazza a lottare contro le violenze della globalizzazione, della finanza e del turbocapitalismo
 
Violenze sulla natura, sull’uomo e sugli stessi popoli, che oggi appaiono tragicamente evidenti. Violenze che già da quel giorno si scatenarono bestialmente sugli inermi manifestanti, letteralmente schiacciati senza pietà prima, durante e dopo il G8. 
 
L’obbiettivo di chi organizzò tale macelleria era distogliere l’attenzione sui sacrosanti motivi politici di protesta di questo grandissimo movimento transnazionale e popolare, che proponeva l’alternativa a una società globale stracolma di ingiustizie e governata dai pochi sui molti. Obbiettivo raggiunto a prezzo del sangue.
 
I pestaggi indiscriminati delle forze di polizia contro chi manifestava in pace con le mani alzate e tinte di bianco, le torture invereconde della Diaz e di Bolzaneto, le “prove” fabbricate ad arte, i depistaggi vergognosi degli allora “portavoce”, la bieca protezione politica del governo Berlusconi e infine le sentenze all’italiana dei processi negli anni successivi. Tutto questo è stato Genova 2001: la pagina più nera degli ultimi trent’anni della storia d’Italia.
 
Genova sanguina ancora, e non solo per la tragica morte di Carlo, un ragazzo di 23 anni ammazzato da colpi di pistola e investito senza pietà da una camionetta militare.
 
Ricordare Carlo significa ricordare tutti quei cinquecentomila presenti quel giorno, non solo il dolore infinito dei genitori Haidi e Giuliano, a cui va il nostro grande abbraccio, come sempre.
 
Ricordare Carlo significa tenere a mente tutti gli infiniti scandali che si sono succeduti nel tempo: noi infatti non dimentichiamo Cucchi, Uva, Aldrovandi e tanti altri morti nelle mani delle forze di polizia.
 

Il sindacato di categoria che oggi pensa di raccogliere firme, in Liguria, contro “piazza Carlo Giuliani” compie, dunque, l’ennesimo tentativo di provocazione e di offesa. 

 
Non ci risulta infatti che il Coisp si sia mai interrogato o abbia fatto pubblica ammenda sulle verità di queste morti: di fronte a ciò le forze dell’ordine di un paese democratico avrebbero già dovuto da tempo fare pulizia al proprio interno e chiedere scusa ai cittadini italiani per i quali lavorano. Non ci risulta che morire di botte sia confacente alla “legalità” tanto sbandierata dal Coisp.
 
Ma evidentemente è più importante sputare ancora veleno su chi non c’è più, che cercare la giustizia.
 
Caratteristiche proprie di un paese che quanto a civiltà e rispetto della democrazia non ci risulta essere all’avanguardia. Allora come oggi.
Rifondazione Comunista, federazione provinciale La Spezia

“20 luglio 2001-2013: a Genova in piazza Alimonda, come sempre con Carlo nel cuore”

19 luglio 2013, by  
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Una delegazione spezzina di Rifondazione Comunista parteciperà oggi alla manifestazione in ricordo di Carlo Giuliani assassinato il 20 luglio di dodici anni fa in Piazza Alimonda a Genova. La delegazione sarà composta da Sergio Olivieri, già segretario regionale ed ex Parlamentare del Prc, Jacopo Ricciardi della Segreteria Provinciale e Filippo Vergassola, Coordinatore Provinciale Giovani Comunisti.

“Saremo in Piazza Alimonda” -hanno sottolineato gli esponenti di Rifondazione- “per ricordare Carlo e le centinaia di persone che nel luglio del 2001 erano a Genova ed hanno subito una repressione feroce e bestiale. Crediamo di rappresentare i sentimenti di tanti cittadini spezzini a partire da quelli che erano presenti alle manifestazioni di Genova contro il G8″.

Oggi“- hanno concluso i rappresentanti di Rifondazione- “ricorderemo quelle giornate cilene e la più grave sospensione dei diritti dell’uomo dal secondo dopoguerra. Il movimento che scese in piazza a Genova non ha avuto né verità né giustizia mavevamo completamente ragione. Contestavamo il G8 che pianificava la globalizzazione neoliberista, quella stessa globalizzazione che ha determinato lo strapotere dei mercati finanziari e l’attuale crisi. La nostra lotta contro il neoliberismo continua nella memoria di Carlo”.

Rifondazione Comunista La Spezia

 

Guido Viale: “I sei pilastri della conversione”

7 febbraio 2012, by  
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di Guido Viale (tratto da “Il Manifesto”, 2 febbraio 2012)

Misurarsi con il Governo Monti sul suo terreno non è saggio. Monti comanda ma non governa. Comanda perché i partiti che lo sostengono (sempre più infelici) glielo lasciano fare e gli elettori che essi pretendono di rappresentare non hanno forze né strumenti per fermarlo.

Per tutti il movente è unico: la paura di un disastro che non si sa valutare. Ma a governare non è né Monti né l’Europa, ma – e non con un programma, ma con ricatti e fatti compiuti – la finanza internazionale; che decide per entrambi. Le misure adottate – “salvaitalia” e “crescitalia”non avranno alcun effetto di stabilità, come non ce lo avrà il nuovo pacchetto ammazza-lavoro cucinato dalla prof.ssa Fornero.

Le cifre sparate sui futuri effetti di quei decreti (PIL +11%; salari +12; consumi +8; occupazione +8; investimenti + 18) ricordano più la tombola che le discipline accademiche di cui la compagine governativa mena vanto. Se oggi la speculazione sul debito italiano sembra placarsi, è perché Monti le ha dato un altro po’ di succo da spremere; esattamente come era successo in Grecia; fino a nuovo ordine.

D’altronde Draghi ha spiegato che lo spread serve proprio a questo: rendere possibile quella spremitura che il lessico economico-politico chiama “riforme” e “modernizzazione”. Ma con un debito di 1900 miliardi e un patto di stabilità che pretende di dimezzarlo a nostre spese, gli agguati della finanza continueranno a restare alle porte. E finché la finanza internazionale potrà contare su risorse che valgono 10-15 volte di più del prodotto lordo del mondo non c’è governo che ne sia al sicuro; nemmeno erigendo una muraglia cinese contro i suoi assalti.

Il confronto con il governo Monti, con questa Europa, e con il potere della finanza internazionale va quindi condotto su un diverso piano, che è quello della vita e delle condizioni di esistenza della maggioranza della popolazione, dei rapporti che ci legano all’ambiente fisico e sociale in cui viviamo, dei diritti inalienabili di cittadinanza che ne discendono in quanto abitanti di questo pianeta (tutte materie totalmente estranee alla cultura del governo; ma dimenticate anche da molti dei suoi commentatori e dei suoi critici).

Quei rapporti rendono indissolubile il nesso tra ambiente ed equità sociale (e intergenerazionale: esisterà, si spera, un mondo anche dopo gli alti e bassi dello spread). Se la crisi economico-finanziaria e la crisi ambientale segnalano, con la loro dimensione globale, l’urgenza di una svolta per tutto il pianeta, questa non può prescindere, e non può distinguersi, da una radicale conversione ecologica del modo in cui consumiamo (e quello che consumiamo, alla fine, è l’ambiente) e del modo in cui produciamo (e quel che produciamo è soprattutto diseguaglianza e sofferenze superflue). E siccome la conversione ecologica riguarda in egual misura i nostri atteggiamenti soggettivi verso l’ambiente e gli altri esseri umani e l’organizzazione delle nostre attività “economiche” (che cosa produciamo, come, dove, con che cosa e perché lo produciamo), è un imperativo concreto partire da quello che ciascuno di noi può fare, o intende fare, qui e ora.

Quello che lega il nostro agire localmente – il nostro “progetto locale” – al pensiero globale che deve informarlo è la sua replicabilità: la possibilità che venga riprodotto, adattandolo alle diverse situazioni con la dovuta intelligenza del contesto, senza che le realizzazioni degli uni vadano a detrimento di quelle di altri; e sviluppando invece una potenza sinergica. Solo così i legami che si creano possono costituire la base – a diversi livelli, fino a ricoprire con una rete l’intero pianeta – sia di un programma generale, sia della formazione di una cittadinanza attiva (intersettoriale, interconnessa, internazionale, intergenerazionale), sia di organizzazioni che si candidino a esautorare, sostituire o integrare le strutture esistenti: a piccoli passi e a macchia di leopardo, per lo più; a salti improvvisi, a volte; ma sempre più spesso in contesti conflittuali, e fronteggiando rischi crescenti. Il “soggetto politico” di cui si è discusso – senza dirlo – nel recente convegno di Napoli sui beni comuni è parte di questo percorso; l’Europa dei popoli e non della finanza, anche. I loro pilastri mi sembrano questi:

1) La conversione ecologica è un processo di riterritorializzazione, cioè di riavvicinamento fisico (“km0”) e organizzativo (riduzione dell’intermediazione affidata solo al mercato) tra produzione e consumo: processo graduale, a macchia di leopardo e, ovviamente, mai integrale. Per questo un ruolo centrale lo giocano l’impegno, i saperi e soprattutto i rapporti diretti della cittadinanza attiva, le sue associazioni, le imprese e l’imprenditoria locale effettiva o potenziale e, come punto di agglutinazione, i governi del territorio: cioè i municipi e le loro reti, riqualificati da nuove forme di democrazia partecipativa. Le caratteristiche di questa transizione è il passaggio, ovunque tecnicamente possibile, dal gigantismo delle strutture proprie dell’economia fondata sui combustibili fossili alle dimensioni ridotte, alla diffusione, alla differenziazione e all’interconnessione degli impianti, delle imprese e degli agglomerati urbani rese possibili dal ricorso alle fonti rinnovabili, all’efficienza energetica, a un’agricoltura e a una gestione delle risorse (e dei rifiuti), dei suoli, del territorio e della mobilità condivise e sostenibili.

2) Per operare in questa direzione è essenziale che i governi del territorio possano disporre di “bracci operativi” con cui promuovere i propri obiettivi. Questi “bracci operativi” sono i sevizi pubblici, restituiti, come disposto dal referendum del 12 giugno, a un controllo congiunto degli enti locali e della cittadinanza, cioè sottratti al diktat della privatizzazione. Per questo le risorse destinate alla conversione ecologica dovrebbero essere restituite agli enti locali e sottoposte ad adeguati controlli, non solo di legalità, ma soprattutto ad opera della cittadinanza attiva. Nell’immediato è decisivo che vengano sottratti ai vincoli del patto di stabilità gli investimenti destinati al welfare municipale e alle conversioni produttive.

Il debito pregresso contratto dalle amministrazioni locali, o dalle Spa che rientrano nel perimetro dei servizi locali del cui controllo deve riappropriarsi il governo del territorio, come il debito pubblico dello Stato nazionale dovranno essere ridimensionati, in forma contrattata, in misura sufficiente a non essere di ostacolo alla conversione produttiva. Le responsabilità di un rifiuto di questa negoziazione ricadono su chi la respinge, ma vanno studiate e predisposte fin da ora tutte le misure per attenuarne le conseguenze sulla cittadinanza. D’altronde è impensabile che si possa uscire dal caos in cui il liberismo ha precipitato l’economia del pianeta senza un radicale ridimensionamento della bolla finanziaria che sovrasta l’economia mondiale. Quali che ne siano le conseguenze.

3) Il terzo pilastro è l’arresto del consumo di suolo: le nostre città e tutti i centri abitati, di qualsiasi dimensione, sono già sufficientemente costruiti per soddisfare con le strutture esistenti o con il recupero dei suoli occupati da strutture inutilizzabili, tutte le esigenze di abitazioni, di attività produttive e commerciali, di socialità e di promozione della cultura e del benessere di cui una comunità ha bisogno. Edifici e abitazioni tenute sfitte per “sostenere” il mercato dovrebbero essere restituiti a un uso più appropriato, anche , se necessario, con una politica di espropri, rivendicando una legislazione che la renda praticabile. Se si vuole combattere la rendita che, come sostengono tutti gli economisti liberisti, abbatte la produttività, ecco un buon punto da cui cominciare.

4) Il suolo urbano libero da costruzioni e quello periurbano possono essere valorizzati da un grande progetto di integrazione tra città e campagna, tra agricoltura e agglomerati residenziali. Un’integrazione che è stata il pilastro delle civiltà di tutto il mondo prima dell’avvento della globalizzazione che ha preteso – grazie al basso costo del trasporto reso possibile dall’abuso dei combustibili fossili – di fare dell’agricoltura di tutto il pianeta il “contado” dei centri urbani, con il degrado progressivo sia degli uni che dell’altra. Le municipalità hanno molti strumenti (alcuni a costo zero) per promuovere una riconversione di questo rapporto: orti urbani, disseminazione dei GAS, farmer’s markets, mense scolastiche e aziendali, marchi di qualità ecologica per la distribuzione, gestione dei mercati ortofrutticoli: quanto basterebbe per cambiare l’assetto dell’agricoltura periurbana e per ri-orientare l’alimentazione della cittadinanza con filiere corte.

5) La mobilità sostenibile (attraverso l’integrazione intermodale tra trasporto di linea e mobilità flessibile: car-pooling, car-sharing, trasporto a domanda e city-logistic per le merci) e la riconversione energetica (attraverso la diffusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e la promozione dell’efficienza nelle abitazioni, nelle imprese e nei servizi) costituiscono gli ambiti fondamentali per sostenere le imprese e l’occupazione in molte delle fabbriche oggi condannate alla chiusura. La riterritorializzazione delle attività in funzione della domanda creata dalla conversione ecologica è una vera politica industriale che può salvaguardare e promuovere occupazione, know-how e potenzialità produttive in settori quali la fabbricazione di mezzi di trasporto, di impianti energetici, di materiali per l’edilizia ecosostenibile, di macchinari e apparecchiature a basso consumo.

Crea domanda vera perché risponde alle necessità degli abitanti di un territorio, ma richiede condivisione e può essere sostenuta solo attraverso rapporti diretti tra produttori ed enti locali. (Ha fatto qualcosa di analogo la Volkswagen producendo impianti di microcogenerazione piazzati direttamente in case e imprese attraverso un accordo con una società di distribuzione dell’energia. Lo possono fare i comuni italiani senza alcuna violazione delle norme sulla concorrenza).

6) La conversione ecologica è innanzitutto una rivoluzione culturale che ha bisogno di processi di elaborazione pubblici e condivisi e di sedi dove svilupparli. La cultura non può essere solo un passaporto per l’accesso al lavoro o uno sfogo dopolavoristico. Può e deve tornare a essere l’ambito di una riflessione sul senso della propria esistenza, della convivenza civile, della riconquista di un rapporto sostenibile con l’ambiente: tutte condizioni indispensabili di una adesione convinta alla conversione ecologica. Questa riflessione ha bisogno di sedi, di strumenti, di promotori, di risorse: nelle scuole e nell’università, nell’educazione permanente, nelle istituzioni della ricerca, nel tessuto urbano, nei mezzi di informazione, sulla rete.

Fidel Castro: “La grave crisis alimentaria”

27 febbraio 2011, by  
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Riportiamo il testo di una riflessione del primo (e unico) leader mondiale che lancia con parole chiare, un appello ai popoli del mondo sul tema della nostra sopravvivenza.

Solo 11 giorni fa, il 19 gennaio, con il titolo “È già ora di fare qualcosa“, ho scritto:

La cosa peggiore è che gran parte delle soluzioni dipenderanno dai paesi più ricchi e sviluppati, che giungeranno ad una situazione che realmente non sono in condizione d’affrontare senza che crolli il mondo che hanno cercato di modellare

Non parlo già delle guerre, i cui rischi  e conseguenze sono stati trasmessi da persone savie e brillanti, includendo molti  nordamericani.

Mi riferisco alla crisi degli alimenti originata da fattori economici e cambi climatici, che apparentemente sono già irreversibili, come conseguenza dell’azione dell’uomo, ma che in ogni modo, la mente umana ha il dovere d’affrontare immediatamente.

I problemi che hanno preso corpo adesso e rapidamente, attraverso fenomeni che si stanno ripetendo in tutti i continenti: calore, incendi di boschi, perdita di raccolti in Russia (…) cambio climatico in Cina (…) perdita progressiva delle riserve d’acqua nell’Himalaya, che minacciano India, Cina, Paquistan e altri paesi; piogge eccessive in Australia, che hanno inondato quasi un milione di chilometri quadrati; ondate di freddo insolite ed estemporanee in Europa […] siccità in Canada; ondate  inusuali di freddo in questo paese e negli Stati Uniti.

Ho parlato ugualmente delle piogge senza precedenti in Colombia, Venezuela e Brasile.

Ho informato, in  quella Riflessione che: “Le produzioni di grano, soia, mais, riso ed altri  numerosi cereali e leguminose, che costituiscono la base alimentare del mondo, la cui popolazione è oggi,  secondo calcoli, di quasi 6.900 milioni di abitanti, e già si avvicina alla cifra inedita di 7.000 milioni, dei quali più di  mille milioni soffrono per fame e denutrizione, e sono danneggiati seriamente dai cambi climatici, creando un gravissimo problema nel mondo.”

Sabato 29 gennaio, il bollettino quotidiano che ricevo con le notizie di Internet, riportava un articolo di Lester R. Brown, pubblicato nel sito web Vía Orgánica, datato 10 gennaio, il cui contenuto, a mio giudizio, dev’essere ampiamente divulgato.

Il suo autore è il più prestigioso e laureato ecologista nordamericano, che ha avvertito sull’effetto dannoso del crescente e molto importante volume di CO_2 che si diffonde  nell’atmosfera. Dal suo ben fondato articolo, prenderò  solo i paragrafi che spiegano in forma coerente i suoi punti di vista”.

All’inizio del nuovo anno, il prezzo del grano raggiunge livelli  senza precedenti.

La popolazione mondiale, è quasi il doppio del 1970, e continuiamo a  crescere ad un ritmo di 80.000.000 persone ogni anno. Stanotte ci saranno 219.000 bocche in più da  alimentare a tavola e molte incontreranno il piatto vuoto. Altre 219.000 si sommeranno a noi domani notte.

In qualche momento questa crescita incessante comincerà ad essere troppa per le capacità degli agricoltori ed i limiti delle risorse terresti ed idriche del pianeta.”

L’aumento nel consumo di carne, latte e uova nei paesi in via di sviluppo, che crescono rapidi,  non ha precedenti.

Negli Stati Uniti, dove sono state raccolte 416.000.000 tonnellate di granaglie nel 2009, 119.000.000 di quelle tonnellate sono state  inviate alle distilleriedi etanolo per produrre combustibile per le Automobili.

Quelle tonnellate  bastavano per alimentare 350.000.000 persone l’anno. L’enorme investimento degli Stati Uniti nelle distillerie di etanolo crea le condizioni per la concorrenza diretta tra le automobili e le persone per il raccolto di granaglie  mondiale. In Europa, dove buona parte del parco automotore si muove con combustibile diesel, esiste una domanda crescente de combustibile diesel prodotto a partire dalle piante, soprattutto a partire dall’olio di colza e di palma. Questa domanda di coltivazioni portatrici di olio non solo riduce la superficie disponibile per produrre coltivazioni alimentari in Europa, ma inoltre accelera la distruzione dei boschi tropicali in Indonesia e in Malesia, a favore delle piantagioni produttrici di olio di palma.”

La crescita annuale del consumo di granaglie nel mondo da una media di 21.000.000  tonnellate annuali nel periodo del 1990 al 2005, è arrivata a 41.000.000 tonnellate l’anno nel periodo tra il 2005 e i 2010. La maggior parte di questo salto enorme si può attribuire all’orgia di investimenti nelle distillerie di etanolo negli Stati Uniti tra il 2006 e il 2008.

Mentre raddoppiava  la domanda annuale della crescita delle granaglie, sono sorte nuove   limitazioni dal lato dell’offerta, anche quando si sono intensificate quelle a lungo tempo,   come l’erosione dei suoli.

Si calcola che la terza parte delle terre coltivabili del mondo perdono la cappa vegetale più rapidamente del tempo necessario alla formazione del suolo nuovo attraverso i processi naturali, perdendo la sua produttività inerente. Sono in processo di  formazione due grandi masse di polvere. Una si estende a nordovest della Cina, a ovest della Mongolia e dell’Asia Centrale; l’altra si trova in  Africa Centrale. Ognuna è molto più grande della massa di polvere che danneggiò gli Stati Uniti nel decennio delgi anni 30’.

“Le immagini del satellite mostrano un flusso costante di tormente di polvere che partono da queste regioni e generalmente ognuna di queste trasporta milioni di tonnellate di cappa vegetale preziosa.”

“Nello stesso tempo l’esaurimento  delle riserve d’acqua  riduce rapidamente l’estensione delle  aree irrigate di molte parti del mondo: questo fenomeno relativamente recente è stimolato dall’uso su grande  scala delle pompe meccaniche per estrarre l’acqua sotterranea. Nell’ attualità, la metà della popolazione del mondo vive in paesi dove i livelli freatici scendono mentre il pompaggio eccessivo esaurisce  le riserve di acqua.

Quando un riserva d’acqua si riduce, si deve necessariamente ridurre il pompaggio secondo il ritmo di riposizione, se non si vuole che si trasformi  in un acquifero fossile (non rinnovabile), nel cui caso il pompaggio smetterà totalmente. Ma presto o tardi i livelli   freatici discendenti si traducono in un aumento dei prezzi degli alimenti.

Le estensioni irrigate diminuiscono in Medio Oriente e soprattutto in Arabia Saudita, Siria, Iraq e possibilmente in Yemen. Nell’Arabia Saudita, che dipendeva totalmente da un acquifero fossile oggi esaurito, per la sua autosufficienza per il grano, la produzione sperimenta una caduta libera. Tra il 2007 e il 2010, la produzione di grano saudita è discesa a poco più di due terzi,”

Il Medio Oriente arabo è la regione geografica dove la scarsità d’acqua crescente  provoca la maggior riduzione nel raccolto delle granaglie.

Ma i deficit di acqua realmente elevati sono in India, dove  secondo le cifre del Banco Mondiale ci sono 175.000.000 di persone che si alimentano di granaglie  prodotte con un pompaggio eccessivo  […] Negli Stati Uniti, l’altro grande produttore di granaglie   del mondo, si sta riducendo l’area irrigata negli stati  agricoli fondamentali, come la  California e il Texas.”

“Il rialzo della temperatura rende a sua volta più difficile aumentare il raccolto mondiale  delle granaglie con la rapidità sufficiente per andare alla  pari del ritmo senza precedenti della domanda. Gli ecologisti che si occupano delle coltivazioni hanno le loro proprie regole  generalmente accettate: per ogni grado Celsio d’aumento della temperatura al disopra del livello ottimo durante la stagione della crescita, ci si deve aspettare  un calo del 10% nella resa delle granaglie.”

Un’altra  tendenza emergente che minaccia la sicurezza alimentare è lo scioglimento dei ghiacciai delle montagne. Questo è preoccupante soprattutto nell’Himalayas e nel Tibet, dove il gelo che si scioglie, proveniente dai ghiacciai, alimenta non solo i grandi fiumi dell’Asia durante la stagione secca, como l’Indo, il Gange, il Mekong, il Yangtzé e i fiume Giallo, ma anche i sistemi d’irrigazione che dipendono da questi fiumi. Senza questo scioglimento dei ghiacci, il raccolto delle granaglie sperimenterebbe una grande caduta e i prezzi aumenterebbero in proporzione.

Infine e a lungo tempo, i caschi di ghiaccio che si sciolgono in  Groenlandia e a ovest dell’Antartico, uniti all’espansione termica degli oceani, minacciano di elevare il livello del mare anche di  sei piedi ( 1,83 m circa NdT), durante questo secolo. Inoltre un’elevazione di tre piedi provocherebbe l’inondazione delle terre dove ricoltiva riso del Bangladesh. Inoltre inonderebbe  buona parte del Delta del Mekong, dove si produce la metà del riso del Viet Nam, il secondo esportatore di riso del mondo. In totale, ci sono approssimatamente 19 delta fluviali produttori di riso in Asia, dove i raccolti  si ridurranno considerevolmente per l’elevazione del livello del mare.”

L’inquietudine di queste ultime settimane è solo il principio. Non si  tratta già più di un conflitto tra grandi potenze fortemente armate, ma della maggior mancanza di alimenti e di prezzi in rialzo dei prodotti alimentari (e dei problemi politici a cui questo condurrebbe) che minacciano il nostro futuro mondiale. Se i governi non  procederanno alla revisione delle questioni della sicurezza,  utilizzando le spese di uso militare per  la mitigazione del cambio climatico, dell’efficienza idrica, la conservazione dei suoli e la stabilizzazione demografica, con tutta probabilità il mondo affronterà un futuro di maggior instabilità climatica e volatilità dei prezzi degli alimenti. Se si continuerà a fare le cose come adesso, i prezzi degli alimenti tenderanno solo al rialzo.

L’ordine mondiale esistente lo hanno  imposto gli Stati Uniti alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ed hanno riservato per sè  tutti i privilegi.

Obama non ha modo per amministrare l’alveare che hanno creato.

Alcuni giorni fa è crollato il governo di Tunisi, dove gli Stati Uniti avevano imposto il neoliberismo ed erano felici  della loro prodezza politica.

La parola  democrazia era sparita dallo scenario. È incredibile come adesso, quando il popolo sfruttati sparge il suo sangue e assalta i negozi, Washington esprime la sua felicità per la caduta. Nessuno ignora che gli Stati Uniti hanno trasformato l’Egitto nel loro alleato principale nel mondo arabo. Una grande portaerei e un sottomarino nucleare, scottati da navi da guerra nordamericane e israelita, hanno attraversato il  Canale di Suez verso il Golfo Persico da molti mesi, senza che la stampa  internazionale avesse informazioni su quello che stava accadendo. È stato il paese  arabo che ha ricevuto più forniture di armi.  Milioni di giovani egiziani soffrono per la disoccupazione e la mancanza di alimenti provocata nell’economia mondiale, e Washington afferma che li  appoggia. Il suo machiavellismo consiste nel fatto che mentre forniva  armi al governo egiziano, la USAID somministrava fondi all’opposizione.  Potranno gli Stati Uniti fermare l’ondata rivoluzionaria che scuote il Terzo Mondo?

La famosa riunione  di Davos che si è appena conclusa, si è trasformata in una Torre di Babele, e gli stati europei più ricchi, capeggiati da Germania, Gran Bretagna e Francia, coincidono solo nei loro disaccordi con gli Stati Uniti.

Ma non ci si deve inquietare nemmeno un pochino; la Segreteria di Stato ha promesso  ancora una volta che gli Stati Uniti aiuteranno nella ricostruzione di Haiti.

Fidel Castro Ruz

30 gennaio del 2011, ore 18.23 (Traduzione Gioia Minuti – tratto da Cubadebate)