11 settembre 1973-2015: Rifondazione ricorda Salvador Allende a quarantadue anni dal golpe fascista di Pinochet

10 settembre 2015, by  
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Come ogni anno Rifondazione Comunista della Spezia commemorerà la figura di Salvador Allende che cadde combattendo in una delle pagine più nere del secondo ‘900: il golpe cileno fascista dell’11 settembre 1973 che poste fine al governo e alla vita del glorioso presidente socialista, democraticamente eletto dal suo popolo.
 
Ci troveremo alle 17.30 presso Centro “Allende” dei giardini pubblici di via Mazzini per porgere un mazzo di fiori alla targa che ricorda l’eroico Salvador, morto mentre difendeva, armi alla mano, il palazzo presidenziale della Moneda durante il bombardamento dell’aviazione guidata dal criminale Pinochet. 
 
Con l’appoggio determinante della Cia si aprì così un ventennio di sangue e dittatura fascista che ancora oggi porta i segni sul popolo cileno e dell’intero Sudamerica.
 
Dopo la commemorazione Rifondazione sarà alle 18 in piazza Ramiro Ginocchio alla “Marcia degli scalzi” organizzata contemporaneamente in più piazza d’Italia per solidarietà alle migliaia di migranti che fuggono dalla fame e dalla guerra per rifugiarsi in Europa.  
 

Lavoratori della mia patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro, in cui il tradimento ha la pretesa di imporsi. Continuate a esser certi che, più presto che tardi, riapriranno le grandi strade per le quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà inutile“. 

Salvador Allende, 11 settembre 1973

 
Rifondazione Comunista, federazione provinciale La Spezia

 

Italicum, Ferrero: “Da Renzi golpe bianco contro la democrazia. Intervenga Mattarella”

29 aprile 2015, by  
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Il governo Renzi è protagonista di un golpe bianco contro la democrazia repubblicana: cosa aspetta Mattarella ad intervenire? I fatti sono semplici: il Pd, che è un partito di minoranza nel paese ed è maggioranza alla Camera solo grazie ad una legge incostituzionale come il porcellum, decide a maggioranza di fare una nuova legge elettorale ancora peggiore del porcellum, perché può consegnare il governo del paese e l’elezione del Presidente della Repubblica ad una forza politica che prenda anche solo il 30% dei voti al primo turno.

Per questo chiedo al Presidente della Repubblica di intervenire: i partigiani non sono morti in montagna per questo schifo degno di un regime.

 

Paolo Ferrero,

segretario nazionale Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Rifondazione ricorda Salvador Allende: un uomo, un presidente, un antifascista combattente

11 settembre 2014, by  
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Si è svolta questa mattina, come ogni anno, la cerimonia organizzata da Rifondazione Comunista in onore di Salvador Allende, il presidente del Cile caduto per il colpo di stato fascista quel maledetto 11 settembre 1973.
Allende è stato, ed è tuttora, un’immensa icona della sinistra mondiale: democraticamente eletto, fu rimosso mentre difendeva, armato, il palazzo presidenziale della Moneda dai carri armati del suo stesso esercito, guidati dal generale assassino Augusto Pinochet, la cui dittatura sanguinaria è proseguita fino al 1990.Un golpe sostenuto senza mezzi termini dalla Cia e dal capitalismo internazionale, di cui Allende da tempo denunciava gli enormi abusi nei confronti dei popoli del mondo.

Presso il centro spezzino che porta il suo nome, il segretario provinciale di Rifondazione Comunista Massimo Lombardi ha letto l’ultimo discorso di Allende ai cileni: “Mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l’obbligo di procedere. Erano d’accordo. La storia li giudicherà”

Tra i vari presenti di stamani anche le cittadine cilene Carla Mastrantonio, della Cgil spezzina, e Patricia Wacquez, che hanno raccontato i loro personali ricordi del terribile regime di Pinochet.

Per non dimenticare.

Rifondazione Comunista, federazione provinciale La Spezia

11 Settembre 1973 – 2014: noi non dimentichiamo Salvador Allende

10 settembre 2014, by  
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Giovedì 11 settembre 2014 alle 10.30, Rifondazione Comunista della Spezia omaggerà Salvador Allende presso la struttura pubblica di via Mazzini che porta il suo nome.

Come ogni anno Rifondazione sarà presente per ricordare questa grande figura politica del ‘900, a quarantuno anni di distanza dal tragico golpe fascista che portò al potere il criminale Pinochet.
Tutti gli antifascisti spezzini sono invitati a partecipare.
Rifondazione Comunista, federazione provinciale La Spezia

Allende vive! Contro vecchi e nuovi fascismi, Rifondazione ricorda El Presidente

11 settembre 2013, by  
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Questa mattina una delegazione della federazione provinciale spezzina di Rifondazione Comunista ha reso omaggio alla figura del grande presidente cileno Salvador Allende, morto eroicamente quarant’anni fa mentre difendeva il palazzo presidenziale della Moneda dagli assalti fascisti e golpisti dell’esercito del criminale Pinochet, teleguidato dalla CIA statunitense.

Un attentato alla democrazia e alla speranza di un popolo, quello cileno, che ha sofferto e continua a soffrire per una ferita difficilmente rimarginabile, che ha causato migliaia di morti, feriti, incarcerati, scomparsi.

Con il segretario Prc Massimo Lombardi erano presenti, tra gli altri, il partigiano Luigi Fiori, che ha messo in guardia dai nuovi fascismi e dai nuovi golpe di vario colore, visto l’attuale attacco bipartizan alla Costituzuone italiana e il progressivo svuotamento della democrazia del nostro Paese, l’ex sindaco della Spezia Giorgio Pagano e Carla Mastrantonio della Cgil spezzina.Quest’ultima, cilena di nascita, con grande emozione e commozione ha parlato dei suoi ricordi del golpe di Santiago, avvenuto quando era bambina: “Lo ricordo come una cosa dei grandi, un fatto di cui i cileni facevano e fanno tutt’ora fatica a parlare”.

Oggi, con i venti di guerra e distruzione di nuovo alle porte nel mondo, Rifondazione ha voluto ricordare quella immensa tragedia, nella speranza che vengano impedite e fermate nuove carneficine su popoli innocenti e inermi.


“Lavoratori della mia patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro, in cui il tradimento ha la pretesa di imporsi. Continuate a esser certi che, più presto che tardi, riapriranno le grandi strade per le quali passerà l’uomo libero, per costruiire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà intuile”.

Salvador Allende, 11 settembre 1973


Rifondazione Comunista, federazione provinciale La Spezia

11 settembre 1973-2012: domani alle 11 omaggio a Salvador Allende

10 settembre 2012, by  
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Domani, martedì 11 settembre, ricorre il trentanovesimo anniversario della morte del presidente cileno Salvador Allende, caduto durante il golpe fascista di Pinochet del 1973, ucciso mentre difendeva il palazzo presidenziale della Moneda dagli assalti dei carri armati dell’esercito.

Come ogni anno una delegazione di Rifondazione Comunista della Spezia si recherà presso la targa ricordo al Centro “Allende” di via Mazzini per rendergli omaggio. Alle ore 11 sarà depositata una corona di fiori alla presenza del segretario provinciale Prc Massimo Lombardi. Tutti gli antifascisti spezzini sono invitati ad essere presenti.

Rifondazione Comunista La Spezia

Romeo: “Lo scioglimento delle Province equivale ad un piccolo golpe”

14 dicembre 2011, by  
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Si assiste in questi giorni ad una manovra che di fatto stravolgerà in peggio la vita di milioni di famiglie italiane con l’avvallo dei due maggiori partiti quali il PdL e il Pd e gli (ex?) fascisti di Fini e Bocchino.

Ancora una volta a pagare i soliti noti: lavoratori, pensionati (con la pensione di carta, non d’oro), disoccupati; a costoro si chiede di salvare l’Italia, ai disonesti (evasori fiscali) e ai super ricchi si concede di farla franca per l’ennesima volta.

Ma la ciliegina a questa manovra è  lo scioglimento delle Province con la scusa dei costi della politica.

Sta emergendo, seppur a fatica, che questa decisione non è altro che un contentino da mettere in pasto ai cosiddetti anticasta senza invece agire davvero sugli scandalosi sprechi (un solo esempio: i 5,5 milioni di euro della liquidazione dell’ad Fimeccanica Guarguaglini equivalgono al costo di tutta l’attuale giunta della provincia della Spezia per ben 16 anni!!!)

Non oso immaginare le conseguenze sul territorio di questa grave scelta, ma ormai gli spezzini ci sono abituati: dopo il Commissario al Parco delle Cinque terre, il Commissario al Parco di Montemarcello Magra, ora tocca alla Provincia essere commissariata. Quando si inizierà con i Comuni?

Le cronache nazionali ci informano saltuariamente di scioglimenti di Consigli Comunali a causa di infiltrazioni della mafia o della n’drangheta nelle Istituzioni, ma mai avrei immaginato di assistere ad un vero e proprio colpo di mano avvallato dalle più alte cariche dello Stato che di fatto viola palesemente la nostra Carta Costituzionale: infatti la Costituzione all’art. 114 dichiara:

La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”.

Non sono un esperto giurista ne tanto meno un professore della Bocconi, ma pare evidente che se si vogliono abolire le Province si debba prima cambiare  la Costituzione e rivedere il complesso del sistema delle Autonomie Locali del nostro Paese.

E perché non un referendum affinché siano i cittadini a decidere l’esistenza o meno delle Province?

 

Salvatore Romeo, Rifondazione Comunista La Spezia

Fallisce il golpe in Ecuador! Silenzio dei media italiani…

1 ottobre 2010, by  
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Hanno sequestrato per 12 ore la democrazia ecuadoriana ma hanno perso. Ecco gli eventi principali della notte, italiana. In mattinata un commento sul terzo golpe, dopo Venezuela e Honduras, in America latina contro l’ALBA. L’antefatto qui e qui. Qui l’intervista esclusiva a María Alexandra Benalcazar da Quito e qui la testimonianza di Davide Matrone. Infine qui il canale Twitter.

Come Giornalismo partecipativo aveva annunciato fin dall’1.30 ora italiana la strada del blitz per liberare il presidente prendeva campo come l’unica possibile. Intanto era sempre più importanti le testimonianze sulle infiltrazioni nella polizia, su civili in genere riconoscibili come vicini a Lucio Gutiérrez (l’ex presidente fondomonetarista su posizioni apertamente eversive) per esempio nell’assalto a Ecuador TV subito dopo che il canale pubblico era riuscito a far parlare in diretta al paese il presidente ancora sequestrato. Gli squadristi che hanno assaltato Ecuador TV e spento il segnale per oltre un’ora non erano infatti poliziotti ma civili comandati da Pablo Guerrero, avvocato di Lucio Gutiérrez.

Poco prima delle 4 di mattina, ora italiana, l’esercito che fino a quel momento si era tenuto a distanza arriva nelle immediate vicinanze dell’ospedale della polizia dove è sequestrato il presidente. Da varie informazioni nell’ospedale sono “trattenute” almeno una trentina di altre persone, in maggioranza giornalisti. Tra loro Gabriela Fajardo che si comunica col nostro contatto a Quito María Alejandra Benalcazar e le descrive il breve conflitto a fuoco al termine del quale il presidente è libero. All’operazione di riscatto hanno preso parte 500 soldati.

Alle 4.39 ora italiana il presidente è nel palazzo di Carondolet e parla all’immensa folla dei democratici ecuadoriani che con la loro azione decisa hanno impedito che il golpe prosperasse. Se infatti a Quito e Guayaquil per ora la città è stata in balia dei golpisti che hanno anche controllato a lungo e chiuso gli aeroporti, nella maggior parte dei centri minori la strada è stata da subito presa dalla popolazione.

Alle 7.00 ora italiana intanto sta cominciando a Buenos Aires la riunione straordinaria di UNASUR,

di  Gennaro Carotenuto – tratto da http://www.gennarocarotenuto.it

L’Honduras tra repressione golpista e silenzio mediatico

7 febbraio 2010, by  
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Vogliamo aprire una rubrica inusuale per una federazione provinciale, ma che riteniamo indispensabile per aprire gli occhi (e la mente) e far si pre risolvere i problemi del nostro giardino ci si soffermi a conoscere e riflettere sulle problematiche di altre realtà del nostro pianeta. Lo facciamo facendo un patchwork letterario del lavoro di Gennaro Carotenuto, sull’analisi di cosa sta succedendo in una delle (tante) dimenticate tragedie del mondo: l’Honduras.

Capitolo 1: un paese normalizzato o un paese che non dimentica il golpe?

TEGUCIGALPA, 26 gennaio. – Sembra tutto pronto a Tegucigalpa per voltare pagina. Domani con una grande festa nello stadio nazionale, ci sarà il passaggio di poteri dal dittatore di Bergamo Alta, Roberto Micheletti a Porfirio “Pepe” Lobo. Sarà una grande occasione per rappresentare la nuova “pax americana” in Centro-America e per alcuni paria, come il presidente taiwanese, che ben raramente viene invitato ad eventi internazionali. Ma molte cose non quadrano e per le strade di Tegucigalpa si vedono i segnali che da tutto il paese l’opposizione democratica saprà dimostrare ancora una volta la sua forza.

Muoversi per le strade di Tegucigalpa, anche in queste ore, vuol dire trovare una città viva, insolitamente più vivibile rispetto alle altre capitali centroamericane. Ma, rispetto alla martellante campagna dei media ufficiali, che magnificano la forza della democrazia honduregna, e non fanno parola né sul caso Zelaya, né sulla grande manifestazione dell’opposizione democratica prevista contemporaneamente al dubbioso e illegittimo trasferimento di poteri, qualcosa sembra non quadrare.

Il primo punto che non quadra è il fatto che Micheletti, il golpista del 28 giugno, non si è mai dimesso. Semplicemente è andato via dal palazzo di governo. Ieri, lunedì, non ha presenziato all’entrata in carica degli amministratori locali, anche se ha mandato una lettera e ha ricevuto un applauso a scena aperta dai politici espressione della classe dirigente honduregna che ha appoggiato il golpe. Non dovrebbe esserci neanche domani a sentenziare con la sua assenza la stravaganza di un passaggio di poteri da un golpista a un presidente eletto in elezioni non democratiche e senza opposizione né osservatori internazionali.

Da parte sua il nazionalista Porfirio Lobo ce la mette tutta per legittimarsi anche nel consesso internazionale. Firmando una amnistia (domattina) vuol chiudere le sanguinose vicende del colpo di stato con la lacrimevole retorica sulla famiglia honduregna che deve riunirsi e che travolge ogni considerazione sull’impunità per le decine di vittime del golpe. Facendo uscire Manuel Zelaya dall’ambasciata brasiliana, dove è rifugiato da mesi, per recarsi in esilio nella Repubblica dominicana, vuol risolvere la più spinosa delle questioni aperte.

Proprio il presidente dominicano Leonel Fernández, che porterà con sé Zelaya al ritorno, è probabilmente il più importante degli ospiti internazionali che presenzieranno al trasferimento di poteri. Con lui il panamense Martinelli, il guatemalteco Colom, il salvadoreño Funes e pochi altri tra i quali il presidente taiwanese, paese riconosciuto dall’Honduras fin dagli anni ’60. Non inganni però questa sparuta e poco qualificata avanguardia: in molti, gli Stati Uniti in primo luogo, ma compresi anche i paesi integrazionisti latinoamericani, aspettano da Lobo appena qualche segnale per poter salire dal cul de sac del golpe e riprendere il tran tran che dura dall’82 di una “democrazia protetta” per l’Honduras.
Chi non ci sta è l’opposizione democratica. Già nelle stazioni degli autobus incontriamo le avanguardie di quella che si preannuncia una grande manifestazione. “Saremo tanti come mai”. “Ci reprimeranno ma non ci fermeranno”. Tra le parole d’ordine continueranno a chiedere (inascoltati) un’Assemblea costituente. Saremo con loro domani.

Capitolo 2: 132 morti il bilancio della dittatura

TEGUCIGALPA. Secondo le organizzazioni in difesa dei diritti umani honduregne e in particolare per il presidente del CODEH Andrés Pavón, che ha tenuto una conferenza stampa in merito, i golpisti in Honduras dal 28 giugno ad oggi avrebbero ucciso 132 persone e ferito almeno 453 altre. Di queste circa 30 sarebbero state uccise durante mifestazioni pubbliche e il resto assassinate da sicari, squadroni della morte o durante detenzioni arbitrarie.

Wendy Davila, è possibile citare solo alcuni dei 132 nomi, aveva 24 anni ed era una studentessa. E’ morta il 26 settembre a causa di un attacco respiratorio causato dal lancio di lacrimogeni da parte della polizia davanti all’Ambasciata brasiliana. Marco Antonio Canales, lo stesso giorno è stato assassinato da sicari mentre usciva dalla sede di Radio Globo. La lista prosegue per pagine e pagine.

Dal 28 giugno ad oggi in Horas vi sono stati almeno 3.033 arresti illegali documentati, 114 giornalisti aggrediti, 14 media chiusi e attualmente vi sarebbero ancora nelle carceri del paese almeno 114 prigionieri politici, un numero di molto superiore a quelli per i quali viene condannata Cuba e che tuttovia non commuove i grandi media internazionali.

Nonostante il complesso mediatico internazionale tergiversi e faccia credere che l’amnistia che proclamerà domani mercoledì il nuovo presidente Porfirio Lobo sia una concessione e si riferisca a presunti reati commessi dal deposto presidente Zelaya è in realtà ai crimini commessi dalla dittatura di Micheletti e in particolare ai 132 assassinii che l’amnistia è diretta. E’ parte infatti dei precisi accordi con  quali i due maggiori partiti del paese, il liberale ed il nazionale si sono divisii compiti. Il partito liberale ha realizzato il lavoro sporco, evitando che  arrivasse alla convocazione  dell’assemblea costituente, al prezzo di vittime citato, e il partito nazionale, complice in tutto, sistemerà le cose con una falsa discontinuità.

Le decine di organizzazioni democratiche che domani sfileranno per le strade della capitale si sono mostrate compatte nel ripudiare l’amnistia considerata un colpo di spugna. Non così la comunità internazionale che non vede l’ora di voltare pagina e che di quei 132 morti senza giustizia non sa cosa farsene.

Capitolo 3: L’Honduras volta pagina? Bilancio (finale?) del primo colpo di stato riuscito del XXI secolo

Varie chiavi di lettura descrivono il momento politico vissuto mercoledì 27 a Tegucigalpa dove nell’eclissi del dittatore Roberto Micheletti si è insediato il nuovo presidente Porfirio Lobo e dove il presidente legittimo, ma esautorato dal golpe, è partito per l’esilio acclamato dai suoi.

La prima chiave, con un golpe di stato conservatore completamente riuscito ed uscito di scena solo dopo aver portato a termine il proprio compito, è quella della sconfitta politica per la sinistra, che era al governo e lo ha perso, sia pur con la forza, e per la democrazia centroamericana tutta. Il successo del golpe è infatti un monito e un’ipoteca per l’America centrale (vi sono governi di centro-sinistra molto light sia in Salvador che in Guatemala) e per tutta l’America latina integrazionista.

Il 27 è stata dunque la giornata dell’insediamento di Porfirio “Pepe” Lobo, un conservatore come tanti eletto come quasi tutti in Centro America in elezioni farsa, alla presidenza della Repubblica. È stata anche la giornata della partenza per l’esilio dominicano di Mel Zelaya, accompagnato negli ultimi momenti in patria da tutto un popolo. È stata inoltre la giornata della normalizzazione hondureña, desiderata dalla comunità internazionale che pure aveva ripudiato il golpe e che ancora non riconosce il nuovo governo.  È stata poi la giornata dell’amnistia a Roberto Micheletti e ai suoi scherani che escono di scena secondo i dati del CODEH con 132 assassinii sulla coscienza.

È stato infine il giorno nel quale l’opposizione democratica, la Resistenza, rilancia, si ritrova e si riconosce e va verso la fondazione di un partito che vede nello stesso Mel Zelaya il leader naturale, l’unico in grado di aggregare forze molto eterogenee, classe media liberale, movimenti sociali, sinistra tradizionale. Qualcuno vorrebbe chiamarlo Partito Socialista Honduregno e dargli come primo obbiettivo l’Assemblea costituente, il motivo scatenante del golpe. È un progetto embrionale e probabilmente impraticabile e, nonostante l’evidente accumulazione di forze della sinistra e della Resistenza, per intanto tra i fatti va annoverata la sconfitta di un paese che fino al 28 giugno Emilio Fede avrebbe colorato di rosso e che adesso è blu cobalto.

FATTI

L’ultimo atto da presidente golpista di Roberto Micheletti, (il dittatore di Bergamo Alta noto da queste parti come Gorilletti o Pinochetti) è stato far uscire l’Honduras dall’ALBA, l’organizzazione di cooperazione tra stati capitanata da Venezuela, Bolivia, Cuba. Uno dei primi atti da presidente di Porfirio Lobo (laureato in economia a Miami, non è una colpa ma è un imprinting) è ricevere la delegazione dell’FMI chiamata a mettere in ordine alla maniera neoliberale nei conti del paese.

Si chiude così una tappa eccentrica della storia “catracha”. L’Honduras torna nell’alveo di quelle nazioni civilizzate che lasciano decidere della loro economia a banchieri del Nord, possibilmente bianchi, anglosassoni, protestanti. Così, per esempio, non si metterà in pratica il folle progetto di Zelaya di alzare il salario minimo a circa 320 Euro in un paese dove molti, scuri di pelle, indigeni e cattolici, non arrivano a 150 Euro per lavorare da sole a sole (Che roba contessa…). L’alternativa, nel programma del prudente Lobo, sarà donare una tantum 400 Euro alle 600.000 famiglie più disgraziate di un paese che ha l’80% di poveri.

Altro fatto è che martedì, poche ore prima di entrare in carica, Porfirio Lobo si è riunito con Arturo Valenzuela, massimo responsabile per la politica latinoamericana di Hillary Clinton. Hanno concordato un pacchetto di aiuti per 2 miliardi di dollari. Le male lingue ricordano che tali aiuti corrispondono all’800% di quanto gli Stati Uniti hanno stanziato per i terremotati di Haiti. Ogni cosa ha il suo prezzo (e per tutto il resto c’è Mastercard) ed evidentemente la vaccinazione dell’America Centrale dall’infezione “chavista”, dai medici cubani, dall’aumentare il salario minimo e da tutto quello che un tempo si sarebbe definita solo un po’ di redistribuzione keinesiana, vale per la signora Clinton ben più di quattro lumpen haitiani che pure sono buoni per sfolgoranti esibizioni in divisa da dama di San Vincenzo.

Il terzo fatto da sottolineare è l’amnistia votata dal parlamento e controfirmata da Lobo per i golpisti. È interessante come il complesso disinformativo mondiale racconti che questa sia una graziosa concessione per i crimini commessi da Mel Zelaya che hanno obbligato i militari a prelevarlo in pigiama da casa, sequestrarlo e portarlo oltre frontera e non per le migliaia di violazioni dei diritti umani commesse in questi mesi ed evidentemente incluse nell’amnistia solo per un disguido.

L’ultimo fatto è che se alla cerimonia hanno assistito appena tre capi di stato (Panama, Taiwan e Repubblica dominicana) tutti, non solo i paesi filostatunitensi e/o filogolpisti vedono nel riconoscimento di Porfirio Lobo, a breve o medio termine, l’unica possibile soluzione alla crisi. Succederà, forse prestissimo. Álvaro Uribe sarà qui ad ore.

EMOZIONI

Nello Stadio Nazionale, ancora intitolato a quel macellaio fascista di Tiburcio Carías, che fu dittatore negli anni ’30-’40, l’atmosfera era surreale. I fischi al presidente dominicano Leonel Fernández, venuto solo per accompagnare Zelaya in esilio nell’isola, testimoniavano come in quella cerimonia vi fossero due convitati di pietra: Roberto Micheletti e Mel Zelaya.

Micheletti, pur amnistiato, è tornato un paria. Una volta compiuta la missione nessuno in Honduras ha più difficoltà a riconoscere che quello del 28 giugno è stato un golpe brutale ed è particolarmente penoso ripercorrere come in questi mesi i grandi media “democratici” si siano arrampicati sugli specchi per negare questa realtà. È rimasto a casa per non compromettere Lobo, ma è stato come se ci fosse.

Zelaya dal canto suo non poteva esserci neanche volendo, ancora rinchiuso nell’Ambasciata brasiliana. Ha trasferito simbolicamente la sua fascia presidenziale non a Lobo ma al popolo hondureño che lo ha accompagnato all’aeroporto. Forse 100.000 persone hanno cantato, si sono emozionate, hanno pianto in un’atmosfera che aveva poco a che vedere con quella di sconfitta e con un futuro particolarmente incerto. La Resistenza è un fronte molto composito, forse troppo. Classe media liberale accomunata dal riconoscimento in Zelaya di un leader che ha rotto molti schemi. Sinistra moderata, sinistra tradizionale, sinistra bolivariana, movimenti sociali con una preponderante presenza femminile. Lumpenproletariato asfissiato dai propri problemi di sopravvivenza è che ha visto in Mel una speranza. Troppi soggetti e troppo diversi per piattaforme comuni e addirittura per un partito unico o per torcere il braccio a Lobo e obbligarlo a quell’Assemblea costituente che metterebbe in moto la democrazia nel paese.

Eppure quella folla eterogenea sembrava davvero un popolo unico, il popolo hondureño che si riconosceva nelle bandiere di Francisco Morazán, in quelle del Che, in quelle cubane, in quelle venezuelane e soprattutto in quelle brasiliane con quel verde oro che brillava nel cielo di Tegucigalpa.

Forse Mel Zelaya, un politico che fino a un paio d’anni fa non si era differenziato dal curriculum grigio se non nero della classe politica centroamericana, è davvero uscito di scena con l’esilio dominicano. Ma in quell’abbraccio di folla, in quegli slogan bolivariani, nella richiesta del suo ritorno, anche gli scettici (come un po’ chi scrive) hanno dovuto riconoscere che Zelaya è riuscito a sintetizzare le emozioni, i sogni, le aspirazioni di tutte quelle persone che, nel momento nel quale si ritrovano sconfitte politicamente, si scoprono anche forti nello stare e sognare insieme un Honduras diverso possibile. Le emozioni non sono fatti, ma a volte sono perfino più consistenti.

Capitolo 4: Pennellate dall’Honduras (la lotta e la repressione continuano)

Non avevo mai visto aspirare colla. Tantomeno in strada, nel centro di una capitale come Tegucigalpa, in pieno giorno. Qui si vede con facilità. A me prende alla bocca dello stomaco, ai ragazzini al cervello.

Ho capito, documenti alla mano, perché il cardinal Oscar Maradiaga, la speranza progressista nell’ultimo conclave, ha appoggiato i golpisti. Dal ‘98 il governo gli passava un appannaggio per spese personali di 100.000 lempiras al mese in un paese dove molta gente non arriva a 3.000. Mel Zelaya aveva osato eliminare questo appannaggio e il cardinale gliel’ha giurata. Ci sono anche storie su ricatti dell’Opus Dei, ma non sono in grado di verificare.

Quello che è sicuro è che in pochi mesi di dittatura l’Opus Dei ha ottenuto la proibizione della pillola del giorno dopo e il carcere per le donne che abortiscono. E ovviamente tutti i finanziamenti di Zelaya per le questioni di genere sono spariti chissà dove.

Ieri mattina alle otto, primo giorno di servizio per il nuovo (vecchio) ministro degli Interni, le strade erano piene di soldati in applicazione alla nuova politica di “mano dura”. Ieri sera i posti di blocco erano ovunque. Finalmente si fa sul serio contro i narcos? A guardare i giornali di destra di oggi hanno scoperto un lanciagranate fuori dalla finestra di un dirigente della Resistenza contro il golpe. Si fa sul serio nel criminalizzare la Resistenza.

Le pauperrime donne indigene coinvolte nei programmi di alfabetizzazione in un paesino del Nord hanno cominciato a rinunciare. Una dirigente di un’associazione contro la violenza alle donne ha cominciato ad indagare: “è che se andiamo ai corsi di alfabetizzazione ci sequestrano e ci portano in Venezuela a fare da schiave a Chávez”.

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